DEMOCRAZIA
Stanza 2
La moda italiana è luogo di una riflessione esplicita e consapevole sul vestire bene alla portata di tutti. La confezione industriale attraverso il contributo di quella figura tutta italiana che è lo stilista diventa rapidamente, fin dalla fine degli anni sessanta, spazio privilegiato per la produzione e la diffusione di oggetti vestimentari di altissima qualità, sia nei materiali, sia nella fattura, realizzati per essere distribuiti a un pubblico sempre più vasto e desideroso di essere alla moda, come nel caso del celebre cappotto 101801 di Max Mara.
Vestire italiano diventa internazionalmente sinonimo di saper vestire con stile. Consolidando il rapporto fra tessile e confezione, come nel caso di Zegna, l'industria si evolve e si potenza, introducendo e accogliendo, soprattutto nel caso dell'abbigliamento maschile, la tradizione sartoriale, e trasformandola così in un patrimonio comune e condiviso, alla portata di tutti.
Lo stilismo viene coltivato in situazioni industriali sensibili al gesto innovatore e alle sperimentazioni: fra gli anni settanta e gli anni ottanta si moltiplicano marchi aziendali come Complice e Callaghan, casi emblematici che si configurano come luoghi della sperimentazione e vivai per stilisti come Walter Albini, Gianni Versace, Angelo Tarlazzi, Romeo Gigli.
Il gesto della democratizzazione è alimentato dalla fotografia di moda che si esprime attraverso autori come Gian Paolo Barbieri, Aldo Fallai, Paolo Roversi, e che circola vorticosamente sulle riviste, potentissima nell'alimentare il nostro immaginario e nel definire un linguaggio visuale condiviso.